" IL PESO DEL MALE " di SABRINA LANZILLOTTI
«L'anoressia è una malattia che violenta la tua mente, se ne impossessa e gioca con essa, annebbiando il tuo passato, oscurando il tuo presente e consumando il tuo futuro. L'anoressia ti logora, cellula dopo cellula, fino a farti diventare un'altra persona. Improvvisamente, infatti, passi dall'essere una persona malata all'essere la malattia: TU diventi l'anoressia. [...] L'anoressia ti trasforma agli occhi del mondo, ma non ai tuoi. Ai tuoi occhi tu sei sempre la stessa, ma questo perché non ricordi com'eri, non hai altro in mente che lei: la malattia. Improvvisamente tutto nella tua quotidianità gira intorno all'anoressia. [...] Ho trascorso gli anni più belli della mia vita a combattere contro me stessa una battaglia senza esclusione di colpi. Per anni ho vissuto per l'anoressia, ho vissuto di anoressia. Mi sono annullata, sono diventata qualcosa che non ero. Chi lotta contro l'anoressia, così come contro qualsiasi altro disturbo alimentare, e vince, sa che porterà per sempre con sé delle cicatrici che non si rimargineranno, testimonianze indelebili della sua discesa agli inferi. Chi guarisce dall'anoressia sa che non tornerà mai ad essere come prima, è consapevole del fatto che si trasformerà in un essere nuovo, ma sa anche che, finalmente, tornerà ad essere un essere pensante, tornerà ad essere vivo. Tornare a gioire per il presente, tornare a sognare il proprio futuro, tornare ad amare. Ecco cosa vuol dire guarire dall'anoressia.»
LA MIA INTERVISTA ALL'AUTRICE SABRINA LANZILLOTTI
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Dal tuo Curriculum Vita/e si evince che sei diventata giornalista all’età di ventun anni, quindi giovanissima. Come mai questa scelta?
Sin da bambina, due sono sempre state le mie passioni: la scrittura e il cinema. Per questo motivo, appena conseguita la maturità, proposi ad un quotidiano locale di creare una rubrica cinematografica a cadenza settimanale. Da lì passai ad occuparmi di cultura in senso ampio, e poi anche di attualità e cronaca. Ed ecco, trascorsi i due anni, arrivare l’iscrizione all’albo. -
Il tuo libro autobiografico intitolato “Il peso del male” riporta la tua testimonianza riguardo un tema molto delicato, “l’Anoressia”. Cosa ti ha spinto a scriverlo?
I disturbi alimentari sono ancora oggi in Italia un argomento di cui si parla poco e male. La gente continua a credere che una persona anoressica sia tale perché persegue insani canoni estetici, crede che la causa siano i messaggi sbagliati che arrivano dai social network o dalle passerelle.
Ma non è così.
I disturbi alimentari sono la manifestazione di un malessere psicologico profondo, le cui radici sono da ricercarsi nel passato, nel disagio familiare. Chi soffre di disturbi alimentari non vuole somigliare a nessuno, vorrebbe solo poter cancellare sé stesso dalla faccia della terra.
Ecco perché ho deciso di raccontare la mia storia. Per tentare di far chiarezza e per dire a chi ne soffre: <<Non sei solo, e se ce l’ho fatta io, puoi farcela anche tu>>. -
Come descriveresti “l’Anoressia” e da cosa può essere causata esattamente?
I disturbi alimentari sono una forma di autolesionismo e di conseguenza, sono il grido d’aiuto di anime particolarmente sensibili e fragili costrette a convivere con un dolore lancinante e straziante. L’anoressia in particolare è il tentativo costante di autopunirsi per un crimine che non si è commesso, un tentativo lento di autodistruggersi ed uccidersi. -
Nel quotidiano viviamo circondati di esempi sbagliati sulla giusta “alimentazione” da seguire per una dieta sana ed equilibrata. Quali messaggi daresti al pubblico femminile di oggi?
Vorrei cogliere l’occasione di questa domanda per sfatare alcuni miti. Al contrario di quanto si possa immaginare, l’anoressia non è un problema prevalentemente femminile, né adolescenziale, tutt’altro. E’ un demone dannatamente democratico che colpisce tanto uomini quanto donne, tanto ragazzi quanto liberi professionisti. Come già detto inoltre, chi soffre di anoressia non vuole somigliare a nessuno, semplicemente perché non vorrebbe proprio esistere.
Un consiglio che vorrei dare ai ragazzi però c’è, ed è questo:
<<Piangete, urlate, distruggete ciò che vi circonda. Esplodete anche quando credete non sia opportuno, non importa; l’unica cosa che realmente conta è che esterniate le vostre emozioni, o saranno esse a distruggere voi>>. -
Ora, una domanda un po' personale. Cosa è cambiato in te, dopo questa malattia? E come hai deciso di voltare pagina?
In me tutto è cambiato. Non sono più la Sabrina che ero prima, ma un essere totalmente nuovo che ha trovato il coraggio di guarire ad un passo dalla fine. -
Hai avuto un ottimo riscontro nelle scuole e hai viaggiato molto. Raccontaci qualcosa delle tue esperienze.
E’ indescrivibile l’emozione che provo ogni qualvolta mi ritrovo a confrontarmi con delle scolaresche. La loro freschezza, la voglia di divorarsi il mondo da un lato e la paura di essere divorati dallo stesso, la spregiudicatezza con cui pongono domande che gli adulti non farebbero mai… Tutto questo mi ricorda che l’unico motivo per cui continuo a scrivere è dar loro una voce, facendo capir loro che gli adulti, o almeno alcuni di loro, riescono a capirli.
Ci sono tanti episodi che mi hanno resa felice del mio lavoro, ma uno di quelli che più mi ha inorgoglito è stata la confessione di una ragazza. Dopo il mio intervento nella sua classe, mi chiese infatti di autografarle il libro non a nome suo, ma della nonna, che lo aveva riletto per ben 3 volte considerando la mia una “scrittura senza tempo”. -
Collabori anche con gli autori emergenti. Quali consigli daresti a chi è in cerca di emergere nel mondo dell’editoria?
Sfortunatamente credo che oggi emergere in questo settore sia quasi un miraggio. L’unica cosa che mi sento di consigliare ai giovani autori è di fare ciò che realmente amano e di perseverare, perché il passaggio da “mi piacerebbe” a “mi sarebbe piaciuto” è maledettamente breve.